Colle i Mori

Scritto da Roberto Casaglia. Postato in Luoghi

 

Si chiamava Tar(s)ina la comunità di umbri che popolava il nostro territorio in età preistorica, occupando la sommità di Colle i Mori e tarinates i suoi abitanti.

Ce lo dicono le Tavole di Gubbio, il più importante documento scritto in lingua umbra che il mondo antico ci ha restituito, e ce lo dice, oltre allo storico Plinio il Vecchio, il cippo iscritto datato al IV secolo avanti Cristo, che nomina i confini della tota tarinates, ovvero della comunità di Tar(s)ina, conservato presso il Museo Civico Rocca Flea e rinvenuto alle pendici del colle.

Esso ci dimostra non solo che l'abitato di Colle dei Mori apparteneva ai tadinati, ma anche che, almeno dal IV secolo avanti Cristo, i tadinati si erano organizzati come una vera e propria città.

Tiziana Capriotti è una archeologa che conosce molto bene questo sito e attualmente è presidente dell'Associazione Enrico Stefani, che prende il nome dal grande studioso romano che diede un impulso significativo proprio alle ricerche su Colle i Mori.

Perchè questo sito è così importante?

Gli archeologi lo ritengono uno dei più rilevanti scavi archeologici di età preromana dell'Italia centrale, sia per lo stato di conservazione delle strutture che per la mole di informazioni che ha restituito e perché rappresenta un esempio chiarissimo delle modalità insediative degli Umbri appenninici e delle comunità preistoriche centro-italiche.

Quale ruolo ebbe Enrico Stefani nella valorizzazione di Colle i Mori?

L'importanza del sito e la ricchezza archeologica del territorio erano ben note quando nei primi anni del '900 e fino al 1935 si susseguirono campagne di ricognizione archeologica e di scavo vero e proprio, fino all'intervento di Enrico Stefani, che proprio nel 1935 pubblicò i risultati delle sue decennali indagini, poi riprese negli anni '80 e '90 dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici per l'Umbria con una serie di campagne di scavo che hanno interessato i versanti occidentale e sud-occidentale del colle.cippo

Cosa è emerso?

I dati ricavati hanno permesso di definire le varie fasi di vita dell'insediamento e di delinearne con una certa sicurezza l'organizzazione topografica. Nonostante l'antichità del sito, restano tracce della viabilità interna dell'abitato. Oggi abbiamo l'immagine di una comunità tribale ben radicata nel territorio, molto vitale e attiva nei commerci, nei contatti con gli altri popoli, anche ad ampio raggio, e dalla florida struttura economica. Ciò è testimoniato dai corredi delle numerose sepolture rilevate nell'area di San Facondino, necropoli scavata sempre da Stefani e utilizzata dal VII secolo avanti Cristo fino ad età tardo-imperiale, ed esposti in parte al Museo Nazionale di Villa Giulia a Roma. Da questo possiamo anche capire che  il potere economico e politico era detenuto da un ceto di aristocratici che si autorappresentavano come guerrieri ed esibivano beni di lusso importati dalla Grecia e dall'Etruria. L'estensione totale del sito archeologico è difficile da ricostruire con esattezza, soprattutto dopo che una buona parte del fianco occidentale del colle è precipitata in seguito ad una frana determinata dall'attività estrattiva. Gli archeologi hanno comunque calcolato una superficie totale di sei ettari di cui non sono state trovate tracce dei limiti e di eventuali fortificazioni.

Quali sono stati i ritrovamenti più importanti?

Le prime tracce di frequentazione dell'area risalgono all'età del bronzo e riguardano un insediamento stabile localizzato sulla parte più alta del colle. Gli strati archeologici di quell'epoca hanno restituito materiali ceramici e bronzei inquadrabili tra il XIII ed il X secolo avanti Cristo: sono olle, scodelloni, e tazze di ceramica d'impasto, fuseruole e pesi da telaio, spilloni di bronzo, corna di cervo che presentano tracce di lavorazione e che forse sono state usate non solo per fabbricare oggetti ma anche per scopi religiosi.

Allo stesso periodo va ricondotta anche un'altra scoperta di enorme importanza: il noto “ripostiglio” di Santo Marzio, area che molto probabilmente non faceva capo all'abitato di Colle Mori, ma i cui straordinari materiali sono databili alla stessa epoca. In archeologia si definiscono “ripostigli” quegli accumuli di materiale prezioso nascosti volutamente in zone impervie e di difficile accesso in un momento di avvertito pericolo per la comunità.

Negli anni ' 40 nell'area della Rocchetta furono infatti rinvenuti fibule ad arco di violino, spirali fermatrecce, pinzette, aghi, pugnali, in bronzo, e altri oggetti in osso lavorato, piombo, ferro, ambra, di cui fanno parte anche i famosi “dischi aurei” esposti al Museo Archeologico Nazionale di Perugia e considerati una delle prime manifestazioni della lavorazione a sbalzo dell'oro nella penisola italica.

Quanto è  rimasto attivo l'abitato di Colle i Mori?

Dalle ricerche che sono state condotte emerge chiaramente che non ebbe una continuità di vita da queste prime fasi protostoriche: fu abbandonato nei secoli successivi, fino alla seconda metà del VI secolo a.C., periodo in cui tornò ad essere occupato di nuovo, fino ad almeno la metà del III secolo a.C., quando venne nuovamente abbandonato perché la popolazione si spostò in pianura, lungo il tracciato della Via Flaminia, dove sorgerà il municipio romano di Tadinum.

In che situazione versa oggi il sito archeologico?

Le strutture rinvenute sono state ricoperte dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Perugia per ovvie ragioni di tutela dopo gli interventi di scavo e quindi recandosi sul posto è possibile solo apprezzare gli indubbi vantaggi logistici che la topografia del colle poteva offrire ai suoi antichi occupanti, oltre al panorama mozzafiato su una bella fetta dell'Umbria.

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