i Fratelli Filippetti

Scritto da Fabbrizio Bicchielli. Postato in Persone

Il gualdese Tommaso Filippetti, dopo essersi sorbito tutta la Grande Guerra, attraversa le Alpi a piedi, alla ricerca di pane e lavoro, che trova nelle miniere della Lorena, nel dipartimento di Meurthe-et-Moselle, a confine con il Lussemburgo, in quelle cittadine dai nomi tanto familiari ai gualdesi: Audun-le-Tiche, Villerupt, Esch-sur-Alzette, Thionville.

Successivamente viene raggiunto dai fratelli Mariano e Filippo.

 

La loro vita è dura, tra carbone e guerra, fatta di sudore e pregiudizi, come testimonia un piccolo episodio che vede protagonista il piccolo Angelo (in seguito sindaco di Audun-le-Tiche), figlio di Tommaso, che si prende una sberla dal vecchio sindaco Jubert.
Mentre gioca con gli amici per strada, il pallone colpisce il sacro sedere di Madame Jubert: "Macaronì, sale petit rouge!" (Macaronì era il dispregiativo con cui i francesi indicavano gli italiani, seguito da "sporco piccolo rosso").

Vengono deportati in quattordici, la mattina del 3 febbraio 1944.
"Sono scesi a prenderli in fondo alla miniera... con il permesso dei padroni": è il racconto disperato delle mogli.
Non potevano accettare quella complicità dei padroni con la Gestapo.
I loro mariti erano stati arrestati durante il loro lavoro di stenti, sporchi, coperti dalla polvere scura del ferro che incollava le palpebre, le mani legate da corde, gli occhi bendati da cui gocciolavano sudore e sporcizia. (Aurélie Filippetti, Gli ultimi giorni della classe operaia, Marco Tropea editore, 2004).

Gli arrestati appartengono tutti al gruppo partigiano "Mario", di cui fanno parte anche i Filippetti, un nucleo della Resistenza collegato ai fratelli Rosselli che cerca di opporsi alla prepotenza nazista.
Da queste parti transitano i prigionieri diretti ai campi di sterminio, la Resistenza li aiuta a fuggire e a nascondersi.
Dopo la cattura, Tommaso, Mariano e Filippo vengono deportati nel campo di concentramento di Dora-Mittelbau, comando distaccato del lager di Buchenwald.

I Filippetti arrivano al campo di Dora assieme ad altre centinaia di prigionieri. Le scene sono tristemente famose: un treno bestiame carico di prigionieri, la raccolta degli internati al centro del campo, la sbrigativa schedatura a mano a mano che passano davanti al tavolo dei nazisti.
I numeri di matricola che vengono loro assegnati, in ordine progressivo (89589-89590-89591), lasciano facilmente immaginare come gli spaesati fratelli, in quella bolgia umana, si tenessero quasi per mano.

"Erano tre fratelli, cresciuti insieme, si abbracciavano, si amavano.
Ma non presentivano che cosa sarebbe avvenuto di loro.
Un fratello di notte hanno portato nel lager. Sono rimasti due fratelli, speravano che tornasse. Ed essi cantano la canzone della sua lontananza.
Tre fratelli uno dietro l'altro, fusi in un essere solo, divisi per sempre, lontano uno dall'altro." (Rasim Sejdic, poeta zingaro)

In seguito i tre fratelli vengono separati: Mariano rimane a Dora, Tommaso è trasferito al lager di Bergen-Belsen e Filippo finisce a Dachau.
L'epilogo è tragico.
Tommaso e Mariano non sopravvivono, Filippo riporta a casa quello che resta di lui.
Filippo non parlerà mai della sua esperienza nel lager di Dachau, chiudendosi in un mutismo insuperabile; muore nel 1969.

Ricorda Alvio Filippetti, uno dei figli di Tommaso: "La Germania è a due passi, ma in tanti anni non ci abbiamo mai messo piede".
La grande avventura dei Filippetti, cominciata nei vicoli della Capezza, finisce con l'ingresso a Dora.

Essi ti hanno dato un nome di donna: Dora.
Tu avresti dovuto rasserenare le fronti stanche.
Ti hanno dato un nome di donna: Dora.
Per ingannarci una volta ancora.
Tu eri Dora, una donna di pietra.
Migliaia e migliaia sono morti tra le tue braccia.
Migliaia ti hanno maledetto.
Il tuo respiro era gelido.
Il tuo sorriso di ghiaccio.
Il tuo bacio veleno.

(Stanislas Radimecki, deportato cecoslovacco)

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