Pierdomenico Pennacchioli, sulle onde della storia

Scritto da Mario Anderlini. Postato in Persone

Non è facile ricordare particolari della scuola elementare.
Ma io, quel giorno, non l'ho mai dimenticato.
Il nostro maestro, Italo Giubilei, annunciava a tutta la classe che un nostro compagno, Pierdomenico Pennacchioli, avrebbe lasciato la nostra scuola, la città, l'Italia, per sempre.
Era difficile comprendere quel sempre, ma una cosa la capii: Pierdomenico non avrebbe più corso con noi lungo i nostri vicoli, il nostro cortile (quello sottratto ai bambini e regalato alle macchine!).
In qualche modo "spariva".


pierdomenico-pennacchioliLa sua famiglia si trasferiva nel Principato di Monaco.
Il padre era stato chiamato da un suo amico - emigrato due anni prima - per fare il calzolaio in una azienda fiorente del Principato.
Pierdomenico lo ho riscoperto adolescente, quando veniva a trascorrere le vacanze a Gualdo.
In comune avevamo l'età e la passione per la chitarra.
Ma di Pierre (quando si emigra ci si adatta un po' al paese di accoglienza e quel suo lungo nome si francesizzò) a un certo punto della sua gioventù divenne il direttore di Radio Montecarlo, la radio più moderna e più ascoltata in Francia (con la versione in lingua francese) e in Italia.
Questa seconda sezione era diretta da Pierre.

Come sei finito là dentro?
Mi ero appena laureato in Lettere moderne e contemporanee - incluso un diploma in filologia - e stavo aspettando una risposta dall'Università per Stranieri di Perugia per sostenere una abilitazione.

Fu in quei giorni che lo zio di un mio amico - un poliziotto in pensione che aveva trovato una occupazione a Radio Montecarlo - mi disse che si era liberato un posto che sembrava adatto a me.
Mi combinò un appuntamento con Noel Coutisson, direttore dei programmi considerato un "capoccione" alla pari di Jaques Antoine che gestiva Tele Montecarlo. Coutisson è unanimemente riconosciuto uno dei padri della moderna radiofonia.
I due stavano lanciando un grande concorso: il "Referendum della Popolarità".
E gli ascoltatori, attraverso una cartolina, dovevano indicare le loro preferenze rispetto a cantanti, atleti e personaggi della società civile.

Quindi ti affacci all'emittente con quale ruolo?
Dovevo semplicemente (si fa per dire) stilare ed aggiornare le classifiche per ogni categoria, oltre a redigere statistiche relativamente alle zone di ascolto.
Contemporaneamente un lavorone ed un lavoraccio.
"Sì, una lavorone "della madonna" tant'è che si ricevevano circa diecimila cartoline al giorno, e il lunedì, dopo la sosta della domenica, ventimila.

Non dirmi che tutto questo ti appassionava!
All'inizio mi sembrava di condividere la perplessità che tu hai espresso.
Ma quasi da subito la cominciò a intrigrarmi.
Curavo i dettagli, annotavo tutto su calepini che facevano l'orgoglio di Coutisson che li custodiva in un cassetto chiuso a chiave nel timore che gli animatori andassero a sbirciare, curiosi com'erano di sapere come stesse andando il sondaggio.

Ma ci fu comunque un risultato reso pubblico?
Certo. Il primo classificato tra gli atleti fu Gigi Riva; Mina tra i cantanti e attori.
Tra i personaggi in genere, con mia somma sorpresa, il Papa che, nei miei conteggi, staccava di gran lunga Fidel Castro, Che Guevara, Gagarin e, soprattutto, il cardiochirurgo Barnard.
Solo in seguito, dopo che Coutisson andò a consegnare personalmente il trofeo al Santo Padre, lo stesso mi confessò di aver organizzato quel concorso soprattutto perché da sempre il suo sogno più ambito era quello di essere ricevuto in Vaticano, in udienza privata ed in pompa magna.

E per l'artefice materiale di tanto desiderio realizzato?
"Al ritorno da Roma Coutisson mi ricevette nel suo ufficio e mi chiese se fossi disposto a lavorare per lui. Io ero giovanissimo. Va bene la letteratura, la filologia, ma la musica, i cantanti, le serate... vuoi mettere?
Ovviamente dissi di sì e lui mi concesse un periodo di ferie, staccò un bell'assegno e mi domandò dove avessi intenzione di andare a spendere quei soldi.
Ero talmente emozionato che pronunciai il primo nome che mi venne in mente: Portogallo.
Non chiedermi perché. Va bene che amavo Amalia Rodrigues, il Fado, il Benfica... ma insomma! La mattina dopo ero con un valigione alla stazione di Montecarlo.
Ma io che cacchio ci andavo a fare in Portogallo?

Al ritorno arrivò questo benedetto primo incarico alla Radio?
Beh, non è che la cosa rivestisse un carattere artistico: mi chiese di catalogare e mettere in ordine gli oltre diecimila dischi disseminati nel suo appartamento sostenendo che tra una tirata di pipa e l'altra mi sarei fatto una cultura tra cantanti e complessi.
E che ciò non poteva che farmi bene e che, inoltre, non faceva ingrassare.
Ma quando arriva questo scatto nella produzione?

Fu proprio alla fine del mio lavoro che il decano dei programmatori musicali, Francois, si ammalò.
E allora Coutisson mi chiese di prenderne il posto.
Coutisson esigeva che un programma musicale fosso soprattutto tosto. E se non lo era si arrabbiava: 'C'était mou'... È stato moscio, ti rimproverava tirando sulla pipa. Per lui un programma musicale più faceva casino più era buono.

Un giorno volle sapere perché dell'album di De André, 'Storia di un Impiegato' programmavo solo 'Verranno a chiederti del nostro amore' e non 'Il Bombarolo' che le altre radio mandavano a randa.

Gli risposi che ...vista la situazione politica in Italia (erano gli Anni di Piombo) non me la sentivo di... ma se insisteva... Rimase un po' perplesso e mi chiese di tradurgli in francese tutti i testi di De André!
Il giorno dopo fece irruzione nell'uffico che condividevo con altri animatori per chiedermi se la traduzione di 'Un Giudice' fosse proprio quella roba lí... Insomma, se si diceva proprio che aveva... Insomma.. Quella roba lí...

Risposi un po' seccato che le mie traduzioni erano più che perfette! Ero pure laureato in filologia, diamine! Nello stesso pomeriggio se ne uscì con una circolare in cui si vietava la programmazione di tutte le canzoni di De André. Motivo? Il Mega Direttore Generale di Radio Montecarlo era monsieur (omissis), rappresentante ufficiale del Principato di Monaco presso la Santa Sede"

Quanta gavetta prima che arrivi il tuo momento esclusivo...
Fu un anno dopo circa che Coutisson venne scaricato per lasciar posto ad uno che aveva un fiuto infallibile per individuare la gente in gamba... Fu così che mi ritrovai Responsabile dei programmi e della programmazione musicale

Nel giugno del 1977 mi trovavo. con mia moglie, a Montecarlo.
Passammo una serata insieme a Pierre, Giamberto Tordi (anche lui nostro coetaneo, emigrato due anni prima di Pierre) e Ferdinando Berardi, mio vicino di casa e compagno di scorribande dell'infanzia.
Una bella rimpatriata in una delle città più attraenti della Costa Azzurra.
Il mattino successivo Pierre mi aveva invitato alla radio.
Da noi stava muovendo i primi seri passi Radio Tadino di cui ero membro e animatore.
Arrivai all'emittente e mi presentai come amico di Pierre.
Mi guardarono con perplessità ma lo chiamarono.
Mi introdusse e mi affidò ad una ragazza che aveva l'incarico di farmi conoscere (quasi) tutti i segreti della Radio. In onda, in quel momento, c'era Luisella che subito fece il mio nome e quello di mia moglie in diretta e salutò gli amici di Gualdo Tadino (voci di corridoio mi dissero che da sempre era innamorata di Pierre...).
Quella visita fece sì che molte innovazioni arrivarono a Radio Tadino.

Ma torniamo alla storia di Pierre.
Radio Montecarlo trasmetteva in onde medie, proprio dal Principato.
Naturalmente non poteva avere ripetitori sul territorio italiano e le sue trasmissioni non riuscivano a coprire tutta la penisola. Questo, Pierre, era un grosso limite!
"Sí, questo ci creava problemi con i nostri inserzionisti pubblicitari che storcevano spesso il naso. Cercammo di rimediare creando una rete su scala nazionale in FM. E per farla conoscere localmente si pensò di recarsi in ogni nuova zona d'ascolto presentando, al pomeriggio e in diretta, un programma in cui si dava anche, e soprattutto, la possibilità al sindaco del posto di promuovere la sua città su scala nazionale.
Alla sera animazione in loco.
Io fui sollecitato ad ideare una trasmissione ad hoc e, poiché ero anche direttore della programmazione musicale, a contattare le case discografiche per organizzare le serate.
Tra le tappe ci fu anche quella di Gualdo Tadino.

Successe che mentre il sindaco Pinacoli stava tessendo le lodi della sua città fece irruzione nella sala mia zia Gelide, riuscì ad arraffare un microfono perché potesse dire 'qualcosa ta quel fijo (quel figlio ero io)'. Titina, la mia assistente, mi venne subito a chiamare dicendomi di mettermi immediatamente 'in antenna'.
Mi precipitai temendo chissà quale inconveniente! ....era zia Gelide che annunciava all'Italia intera che loro stavano tutti bene e così speravano di noi.
Che zio Busba si era rimesso e mi raccomandò di tagliarmi i capelli e che mia sorella Paola, più piccola di me, non facesse troppo la sbarbina...
E l'immaginai abbandonare la sala col culetto ritto (lei che era stata la più bella di Audun e Villerupt) e col pensiero rivolto a zia Donda, una accanita ascoltatrice di Rmc, con la quale non si parlava da quando, dieci anni prima, aveva fatto bruciare il ragù sul fuoco.
Naturalmente sperava che si stesse rodendo il fegato!

La partita di pallone?
Una delle prime partite che sostenne la Nazionale cantanti fu proprio contro di noi Rmc. Loro erano alle prime armi e sceglievano avversari di comodo nel timore di rimediare figuracce.
Quando Sandro Giacobbe, terzino-manager, mi chiese se avevamo una squadra risposi: come no! L'incontro si tenne a Tirrenia. Loro, i cantanti, passavano un periodo che non vendevano un disco e non incidevano quasi mai. Quindi si allenavano come professionisti: facevano ritiri e studiavano schemi e tattiche. E poi c'era gente in gamba come Morandi, Tozzi e altri due a cui avevano fatto fare un disco tanto per poterli far giocare".
Voi avevate già una squadra collaudata?
"Macchè! Dovevo proprio inventarla una straccio di squadra! Né Awanagana, né Predolin, né tantomeno Federico avevano mai dato un calcio al pallone. Durante il tragitto in pullman suggerii al terzino di fascia sinistra di dare un fracco di botte a Mogol per via delle parole insulse che aveva messo sulle musiche di Battisti.

Ma davvero la pensavi questo di Mogol?
E ne resto convinto. Ma vi immaginate cosa avrebbe fatto, Battisti, se soltanto avesse avuto la ventura di conoscere un paroliere appena appena decente...! Ma è comunque vero che lui con i parolieri ha avuto sempre un sacco di problemi... Tanto è vero che è poi finito con Panella!

Torniamo alla partita giocata.
Pre-te-si la maglia numero 10. Piantai su uno de quei casini che ancora oggi mi domando se ne valesse la pena. Feci quasi a botte con un ex pugile inserito nella nostra squadra tanto per fare numero.
Il meschino non faceva altro che fare rilanci inutili, e io a pregarlo di passarmi qualche palla perché ero l'unico che sapeva dar calci a quel pallone.
Finì 0 a 0 grazie alle parate strepitose del nostro Alberto Colmann e ai lampi di genuina classe messi in essere da me: tunnel a Pupo e dribbling ubriacante... e zip, zip, zip! Scarto secco a Riccardo Fogli ed eccomi in area... Quando la massa minacciosa di Andrea Mingardi mi si para davanti con la chiara intenzione di staccarmi almeno una gamba.
Mi stravolsi sul prato reclamando il penalty.
Di contro l'arbitro mi ammonì per simulazione.
Gli rinfacciai che la sua era una chiara sudditanza verso le star: mi cacciò!
Ti piazzai una confusione che, se non mi avessero trattenuto i miei, facevo 'casamicciola'.
Uscii tra gli... scemo! scemo! di ventimila persone.
Mi beccai anche del... cornuto! Come un vero calciatore. Che giornata ragazzi!"

Torniamo alla musica. Tra i personaggi che hai conosciuto chi ti è rimasto più impresso nella mente?
"Una delle persone più gradevoli e solari che mi è mai capitato di incontrare è stato Tony Renis.
Era il 1978 e lui stava facendo il giro delle radio per promuovere la versione dance di 'Quando quando quando', quella che poi sarebbe diventata la numero uno nelle classifiche.
Si trattenne parecchio perchè doveva avere degli interessi a Montecarlo e tutte le sere veniva da me per fare quattro chiacchiere.
Mi chiedeva spesso: "Ma cosa fai qui, Pierdomenico... Vieni con me a New York che ti faccio conoscere i miei amici Gambino".
E quella sera era presente il mio amico gualdese, Learco che mi dava puntate sulle costole.
Si metteva le mani davanti alla bocca per non farsi sentire e mi diceva: "Non ci andare Pier che quelli so' mafiosi".

Tony era appena tornato dall'America dove aveva organizzato una tournée... Si lamentava che si dicesse in Italia che lui era un mafioso.
"Vedi Pierdomenico - mi diceva -, se vai a lavorare in America per la musica devi per forza trattare con loro. Sono loro che hanno tutto in mano: le sale, gli impianti, la sonorizzazione... Ma si tratta di un normale rapporto di lavoro. E loro sono correttissimi. Poveraccio! Ci soffriva molto per questo accostamento. A metà agosto ci siamo recati assieme al Castello di Sammezzano, in Toscana, dove la sua casa discografica, la Wea, organizzava una convention durante il quale venivano presentate le ultime produzioni dei loro artisti: Mia Martini, i New Trolls, Fred Bongusto (che non mi parlava più perchè dopo aver assistito insieme ad un recital di Frank Sinatra allo Sporting di Montecarlo mi chiese come avevo trovato 'The Voice' e io gli avevo risposto: 'aggalito') e altri.
Noi ospiti eravamo alloggiati in graziose roulotte sparse nel bellissimo parco.
Erano numerate in modo che ognuno ritrovasse facilmente la sua.
Dopo il concerto dei New Trolls io e mia moglie siamo rientrati.
Al mattino mi ha svegliato l'urlo di mia moglie... C'erano due dei New Trolls addormentati sul pavimento ai piedi del letto. Immaginatevi un cristiano che si sveglia e si vede davanti agli occhi le facce di Nico di Palo e Giorgio Usai! 'Dormivate così profondamente che non abbiamo osato svegliarvi', spigandoci che durante la cena Tony Renis si era divertito a spostare i numeri delle roulotte, a casaccio".

Rispetto al Festival di Sanremo voi, lì a due passi, eravate certo dei privilegiati.
Ricordo l'infinità di interviste che ottenevate, oltre ad un diverso modo di approcciarsi con la musica e con gli artisti.
Quello era il periodo più elettrizzante dell'anno. Noi davamo molto spazio alla rassegna del Club Tenco. Eravamo la radio ufficiale della manifestazione e furono Amilcare Rambaldi, capo del settore artistico, e Bigi, farmacista di Dolceacqua, responsabile del vino e organizzatore principe del dopospettacolo - graditissima attrattiva e, a dire il vero, finalità recondita della manifestazione - a farmi da padrini.
Capirete... con simili appoggi avevo le mie entrate dappertutto.

Il grande pubblico conosceva solo in parte questa rassegna, per cui non mi rendo conto di quale tipo di spettatori affollassero la sala.
"In realtà si trattava di un pubblico intransigente, dal giudizio molto tagliente al limite della faziosità. Ascoltavi dialoghi del tipo: 'Non mi pare granché questo cantautore', 'Ma come! Guarda che questo qui è stato cinque anni in galera...', 'Ah, quand'è così!'. Questa era gente che faceva venir giù il teatro non dagli applausi, ma dalle botte che si scambiavano in galleria qualora l'artista sul palco non facesse l'unanimità".

Avevi qualche speciale rapporto con qualche artista?
"Un anno sono stato l'inseparabile compagno dei debuttanti, Antonello Venditti e Angelo Branduardi.
Giovani e timidissimi.
Siccome ero l'unico a mandare in onda le loro canzoni, gli consigliavo di cantare solo i brani che trasmettevamo. Appena le chitarre attaccavano, il pubblico riconosceva il brano ed applaudiva. Loro, sorpresi e riconoscenti, mi ringraziavano facendomi segnetti con la mano.
Fu quella volta che Guccini, Benigni e Riondino ci lasciarono letteralmente di stucco improvvisando quartine e stornelli nel corso di un dopocena.
Si tirava avanti fino all'alba.
Quindi a far colazione in un bar di Bordighera.
Quella mattina Guccini si era seduto accanto ad un tavolo del bar che aveva spostato in mezzo alla piazza, proprio in mezzo al traffico. Benigni e gli altri facevano finta di fare delle riprese video e spiegavano ai curiosi che si trattava del nuovo testimonial dell'amaro Cynar di cui lo storico protagonista era Calindri.
Questa registrazione è stata mandata in onda poco tempo fa in una puntata di "Scherzi a parte".
Se l'avete vista potreste aver notato un 'girigioccolo' con la barba lunga e mezzo addormentato che cacciavano sempre via perchè impallava la telecamera: quel 'girigioccolo' ero io.

Ci sarà stato, comunque, un cantautore che, secondo il tuo giudizio, aveva una marcia in più.
Quando si parla di cantautori sento fare molti nomi nobili: De André, Guccini, Venditti, Dalla, non nominando quasi mai colui che secondo me è stato (ed è ancora) il più grande di tutti: Gino Paoli.
Ricordo che era l'estate del 1963.
Ero a Gualdo per trascorrere le mie vacanze estive.
Gianni, in pizzeria (Gianni Paciotti, pizzeria del Soprammuro, ndr) mi dava un sacchetto di monete da cinquanta ed andavo in Piattaforma, dove 'Paciotto' (il padre di Gianni) aveva messo un juke-box.
Eravamo parecchi a gettonare e, quando finiva, a rigettonare 'Sapore di sale'.
Ed era come immergersi in un mondo chiuso, appena nato, lavato dal peccato originale, vergine, con sapori di alghe e di salmastro, dove tutto era nuovo eppure antico, levigato e consunto come i ciottoli di alcune spiaggie dell'Egeo, materno e sempre ricominciato come l'onda...
La prima volta che ho intervistato Gino Paoli lui mi disse: "Ho sempre sognato di scrivere una canzone come 'Avec le temps'. Adesso che l'ha scritta Léo Ferré mi sono tolto il pensiero", facendomi capire che l'arte non è una impresa individuale ma un lavoro collettivo e che la conquista di uno è una conquista di tutti.
Portavoce di tutti i cantautori, Gino Paoli era spesso chiamato in causa e il suo giudizio era sempre il più umano, il più lucido ed illuminante.
Naturalmente carismatico è stato, di tutte le battaglie, il più esposto, sempre in prima linea.

Dopo il lavoro mi piaceva fare quattro chiacchiere con quest'uomo che viveva con una pallottola piantata nel cuore.
Passavamo ore ed ore a parlare di poesia popolare.
Io che ero giovane giovane affermavo, soprattutto con l'intenzione di stupirlo, cose che si volevano originali, tipo che la massima espressione di questo genere poetico erano i graffiti che si trovano nel bagni, e citavo i due capolavori immortali e perfetti per finalità e concisione: "Scemo cerca villaggio" e "Viva la gnocca bona".

Lui mi ribatteva: "Ma che cavolo dici... guarda che può sopravvivere solo se è funzionale".
E si andava avanti così per ore ed ore.
Questo semplicemente per dire che, all'epoca, sì che si dibatteva di cose serie..."

 

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