Casimiri: La più bella ambasceria del genio italico

Scritto da Stefano Ruiz de Ballesteros. Postato in Persone

Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva.
È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni...

alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva.

Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi,
verso la nave, verso tutti, e gridava: l'America. (...)
Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no...
e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello.
Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi,
e se guardavi bene, già la vedevi, l'America. (Da "Novecento" di A. Baricco)

E chi può dire se non sia stato un bambino italiano, quella volta, a vedere l'America... O, perché no, un paffuto signore gualdese che quei bambini italiani li portava in giro per il mondo. Raffaele Casimiri del resto non si limitava a comporre. Per lui era fondamentale lo studio e la diffusione dell'arte musicale italiana, in particolare quella rinascimentale. Perché se tutti gli italiani sanno di essere figli di Michelangelo e Leonardo, molti di meno sanno che altrettanta influenza sulla cultura europea l'hanno avuta Palestrina e Monteverdi, nei quali affonda le radici la tradizione del bel canto che tutto il mondo ci invidia.


casimiri2LA SCOPERTA DELL'AMERICA - Che c'entra con l'America? C'entra. Perché più Casimiri scopriva e studiava gli antichi codici, più sentiva l'esigenza di rendere tangibili, udibili, i frutti di quegli studi. E dai manoscritti che andava scovando tornavano alla luce non solo composizioni cadute nell'oblio, ma anche i modi in cui veniva eseguita all'origine la polifonia rinascimentale, che trovava nuova vita suscitando l'interesse del mondo.
Allora, con il coro della Cappella Sistina in fase di crisi a causa della malattia del maestro Perosi, nacque la Società Polifonica Romana: un coro di una sessantina di cantori (molti bambini), "residente" nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, per mezzo del quale monsignor Raffaele Casimiri fece conoscere le meraviglie della polifonia italiana al mondo intero.
E così quei bambini e quegli uomini, diventati ambasciatori di Palestrina e dell'Arte italiana, dopo aver percorso l'Europa in lungo e in largo (Vienna, Berlino, Praga, Budapest, Bordeaux, Ginevra, Amsterdam) solcarono presto l'Atlantico, esibendosi a Dallas, New York, Washington, Toronto, Ottawa, Buenos Aires, Montevideo...
Nulla di simile sembrava essere mai stato ascoltato prima. I grandi successi di pubblico erano accompagnati dalle ottime critiche dei quotidiani.
Persino Gabriele D'Annunzio, alla vigilia della tournée nel Nuovo Mondo, scrisse una calorosa lettera di saluto a Raffaele e ai suoi cantori, "la più bella ambasceria del genio italico".
La stampa italiana nel frattempo seguiva con entusiasmo i successi mondiali del Maestro, oramai affermato musicista ed educatore. Casimiri infatti teneva molto ad educare anche individualmente quei ragazzi pieni di passione che giravano il mondo insieme a lui.
Il suo lavoro al servizio della musica era assiduo. L'educazione dei bambini della Società Polifonica conviveva con la composizione, l'insegnamento (tra i suoi allievi citiamo il compositore Domenico Bartolucci) e lo studio della musica antica.
Era diventato una figura di grande spessore, il nostro concittadino. A lui si devono le revisioni dell'opera omnia di Palestrina che ha curato con passione fino al giorno della sua morte, quando venne trovato proprio al lavoro nel suo studio.
Ma non era solo uno studioso chiuso nel suo mondo della musica. Per lui era importante servire la gente, come sacerdote e come musicista.


casimiri3CASIMIRI RIFORMATORE -
Condusse nella curia le grandi battaglie sulle riforme della musica sacra ("Lascia che il popolo canti!") perché, nel periodo in cui la Messa somigliava quasi a una scena d'opera, per lui la liturgia doveva essere vicina alle persone, semplice, comprensibile, ma anche solenne e in grado di stimolare la preghiera.
E perché il popolo potesse avvicinarsi a Dio anche attraverso il canto compose le "canzoncine popolari", alcune di queste tuttora famose ed eseguite in gran parte d'Italia (una su tutte "Lieta Armonia").
Un uomo che pur varcando i confini del mondo non dimenticava la terra che gli aveva dato i natali, dove tornava appena gli impegni romani glielo permettevano. E cercava di tornare soprattutto in occasione della festa del patrono Beato Angelo, per il quale compose l'inno "Inclitum nostri" a sei voci e organo.
Sì, a sei voci. E se vi state chiedendo come mai vi sembra di aver sentito una versione a tre voci la spiegazione è semplice.
Pare che nel 1929 il Maestro fosse arrivato a Gualdo Tadino dimenticando a Roma l'inno a sei voci, composto a "Romae, die 12 Augusti 1924".
Dovette così comporre un nuovo inno alla vigilia della solennità del Beato Angelo, limitandosi stavolta ad un coro a tre voci, decisamente più maneggevole anche per un abile compositore come lui, vista la fretta. Questo famoso racconto trova possibile riscontro nel manoscritto della nuova versione a tre voci che riporta la scritta "Apud Tadinum, die 14 Ianuarii 1929".

È difficile spiegare, a settanta anni dalla sua morte, cosa possa significare la figura di Raffaele Casimiri. Per un musicista è sicuramente un esempio di ingegno, lavoro e sensibilità artistica.
Per la nostra città, un illustre concittadino che ha portato in alto il nome di Gualdo Tadino e dell'Italia.
Ma forse, per quei ragazzi che l'hanno conosciuto e che con lui hanno condiviso le fatiche e le gioie della musica, Raffaele Casimiri doveva essere un anello di collegamento tra i grandi Maestri del passato, che studiava assiduamente, e i giovanissimi cantori della sua cappella musicale, ai quali consegnava la sua vita educandoli con costanza e guidandoli in ogni parte del mondo.
Forse, Raffaele, negli occhi di quei bambini aveva visto molto più dell'America.

casimiri4FELICE PERICOLI: "APRIRE VILLA CASIMIRI"
«Ripristinare Villa Casimiri per realizzarne il luogo che ospiti i lavori del Maestro. Ci sono filmati, dischi, spartiti e documenti di Raffaele Casimiri che rappresentano un pezzo di storia importantissima di musica sacra, i quali potrebbero essere raccolti e fatti apprezzare sia agli appassionati che a un pubblico più vasto, soprattutto alle nuove generazioni.»
Claudio Felice Pericoli, musicista di grande livello, da quasi venti anni dirige il coro polifonico «Cai-Casimiri».
Il suo sogno è vedere realizzato a Gualdo Tadino, patria del Monsignore, e nel palazzo che fu di sua proprietà che donò alla collettività, un luogo che ne celebri lo spessore artistico.
Pericoli è cresciuto proprio sulle orme di Raffaele Casimiri.
Allievo di Domenico Bartolucci, che di Casimiri è stato il più importante discepolo, si è formato nel prestigioso Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.
«Casimiri rappresenta una pietra miliare nella storia della musica sacra. Ha trasformato il suo grande talento in una autentica missione. Tutti i più grandi cantori sono stati suoi allievi. Ma oltre ad essere stato un musicologo di caratura internazionale, Casimiri si è distinto anche come ottimo ricercatore, riscoprendo documenti antichi di grande importanza storico-culturale.»
La proposta del maestro Pericoli di trasformare la Villa in un museo che racconti le opere di Casimiri, si sposerebbe con la tendenza di una Gualdo Tadino sempre più identificata come città della cultura.
In passato Valerio Anderlini, direttore del Serrasanta, lanciò l'idea di utilizzare questo bel palazzo del centro, attualmente chiuso, per ospitare anche l'antica Biblioteca Capitolare e il Museo Diocesano. La crisi morde, ma proprio per questo la cultura potrebbe diventare sempre più uno strumento di sviluppo per la città.

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