San Pellegrino, la forza del passato

Scritto da Daniele Amoni. Postato in Luoghi

 

Nonostante 50 anni di attività fotografica, in cui ho fotografato tantissimi eventi folcloristici, non avevo mai affrontato la sfida - per miei demeriti - di cimentarmi nella realizzazione di un reportage sulla Festa del Maggio di San Pellegrino, ridente frazione gualdese posta sul pendio del colle di Monte Camera da cui domina tutta la vallata che dal capoluogo si apre verso Fossato.

 Noto nel medioevo come Castro Contranense (forse da una corruzione del verbo latino contrahere, raggruppare), il paese deve il cambio di nome ad un avvenimento leggendario accaduto nel 1004 quale la morte di un pellegrino. 

Si narra che questi, accompagnato da un giovincello, proveniente dalla Provenza e diretto a Montecassino, chiese invano rifugio dalle intemperie agli abitanti del paese. L'eccezionale maltempo causò una alluvione, provocando la morte del pellegrino. Gli abitanti, dopo un sogno rivelatore, ne cercarono i resti e trovarono il suo bastone miracolosamente fiorito. Venne, allora, allestito un funerale con tutti gli onori e da allora il paese mutò nome e si cominciò a ricordare ogni anno questo avvenimento la sera del 30 aprile.

La frazione rappresenta un vero “scrigno” di tesori: paesaggistici, storici, artistici e folcloristici.
Dalla strada che sale verso il Monte Camera si gode uno dei panorami più affascinanti di questa parte dell'Umbria con l'occhio che spazia su tutte le cime della dorsale appenninica.
Tra i reperti storici più significativi spiccano in cima all'antico borgo i resti del castello costruito a partire dal X secolo, antico feudo dei conti di Coccorano e in seguito possedimento della famiglia Calai.san pellegrino 04
Che dire poi delle meraviglie artistiche contenute nel
paese di appena 300 anime che si anima in estate e nelle feste più importanti. Tra tutte spicca la parrocchiale, in stile gotico-romanico, “forziere” di tesori d'arte ineguagliabili con le pareti tappezzate di affreschi del XIV e XVI-XVII secolo, molti attribuiti a Matteo da Gualdo. Di notevole importanza anche il ciborio del 1521, in pietra di Michelangelo Lucesole (padre di Girolamo, Pellegrino e Bartolome), e l'altare ligneo del rosario risalente al XVI secolo.

Oggi essa ospita anche una pregevole trittico attribuito dal prof. Enzo Storelli a Girolamo di Matteo (sec. XVI).
Custode severo e al tempo stesso innamorato dei suoi “tesori” è l'amico parroco don Luigi Merli, attento affinchè nessuno possa profanare questo esempio di arte medievale - visitato poco tempo fa anche dal critico Vittorio Sgarbi - ma al tempo stesso perfetto “Cicerone” ad illustrare i diversi cicli pittorici.
san pellegrino 02
Nella piccola piazza si apre la chiesa di Santa Maria delle Grazie, chiamata affettuosamente la “chiesola”, citata anche come “Cappella Lispi” in quanto, con lasciti testamentari del 1656 e successivamente nel 1659, Pascuccio Lispi (1584-1664) ne istituisce la cappellania, sotto il giuspatronato della sua famiglia. Recentemente al suo interno sono venuti alla luce numerosi affreschi del XV e XVI secolo.

Domina tutta la vallata il Santuario della Madonna di Montecamera, sorto nel primo trentennio del XVII secolo al posto di una “Maestà dei Morelli”, meta di una pellegrinaggio annuale (martedì di Pasqua) dalla vicina Pieve di Compresseto.
Ritornando al tema, parto un po’ da lontano in quanto quella di “piantare il Maggio” era una tradizione antica e diffusa in tutta l'Europa: c'era l'uso, la notte fra l'ultimo giorno di aprile e il primo di maggio, che i giovani della comunità piantassero rami, mazzi di fiori, giovani alberi nelle piazze dei villaggi e davanti alle case, e in particolare davanti alla porta o alla finestra della fanciulla alla quale si voleva rendere omaggio.

Era un rito di fecondità legato al risveglio della natura e al ricordo di antichi culti degli alberi.

È alle evoluzioni di questa tradizione che dobbiamo sia la pratica di piantare l'albero della libertà, invalsa nella rivoluzione francese e nelle vicende politiche che comunque a essa si rifacevano, sia l'attuale festa del Primo maggio.
Arrivato nel tardo pomeriggio nella frazione per immergermi nel clima festaiolo, respiro subito un'aria di sana amicizia, di cordialità, di meraviglia (per alcuni nel vedermi in quel luogo che, solo per l'occasione, non mi aveva visto mai presente).san pellegrino 03
Dopo la consueta cerimonia religiosa e la benedizione di rito, i maggiaioli, sotto l'abile regia del “capo maggio” si concedono alle foto di rito per poi partire con una corsa sfrenata verso il luogo scelto per abbattere i due pioppi: il primo gigantesco ed un secondo più piccolo che simboleggerà la punta fiorita del bastone del pellegrino.
L'abbattimento viene effettuato con ferree regole di sicurezza per evitare ogni sorta di incidente. Poi, caricati i due alberi di un carro agricolo detto “sterzetto”, i maggiaioli li portano nella piazza percorrendo di corsa il “braccio” ovvero l'ultimo tratto in salita all'ingresso del paese.
Scesi con cura certosina dal carro, armati di asce affilate, inizia la fase dello “scorteggiamento” mentre altri provvedono a preparare con millimetrica precisione la “giunta” tra i due fusti, per formare un unico tronco. Durante questa fase di pulitura tutti i presenti raccolgono e conservano i rametti ottenuti dalla scortecciatura, che la tradizione vuole siano veri portafortuna.
Nel frattempo altri, armati di pale e picconi, cominciano a liberare la consueta buca che conserva al suo interno la base lignea dell'anno precedente.

Si è quindi pronti per la fase più avvincente e faticosa: issare il “maggio”, che in genere supera i trenta metri di altezza, con il solo ausilio di scale in legno e corde.
La base dell'albero viene poggiata sul bordo della buca e poi con un'attenta regia da parte del capomaggio inizia la fase del “sollevamento”, operazione delicata e pericolosa che presuppone, usando corde e scale di lunghezze diverse, un lavoro perfetto di squadra che si svolge in un religioso silenzio degli spettatori spezzato dalle grida dei maggiaoli fino a che accompagnato da un urlo possente della folla il tronco entra nella sua sede e l'albero diventa perfettamente diritto lì in mezzo alla piazza. 
Allora si leva un applauso liberatorio che, a notte fonda, viene salutato dalle campane e dai fuochi d'artificio.
Debbo ammettere con tutta franchezza che, in questi anni, mi sono perso molto in quanto la festa è oltremodo affascinante, ben organizzata, con i maggiaioli - nonostante l'attenzione e la concentrazione che l'evento richiede - che pur essendo i protagonisti non ne assumono la fierezza nel comportamento, anzi mostrando tanta buona e sana educazione.
Un plauso al capomaggio Paolo Volpolini per l'efficiente organizzazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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