Angelo Barberini, la passione e l'orgoglio. (2)

Scritto da Marco Gubbini. Postato in Angelo Barberini

I calzini rossi di Costantino Rozzi.
I chili di sale sparsi da Romeo Anconetani.
Consulte magiche o lo stesso cappotto indossato d'inverno come d'estate.
Il calcio è fucina di riti scaramantici. Come una megalopoli crea e distrugge le mode nel giro di poche ore, il mondo del pallone inventa riti propiziatori, salvo rinnegarli la stagione successiva o addirittura dopo una sconfitta.
I razionali considerano sciocche e ridicole le superstizioni, ma questo sport ha ben poco di razionale.
Ecco quindi che tutti varchiamo la soglia di uno stadio da scettici, salvo, una volta dentro, scegliere lo stesso posto e fare le identiche cose dell'ultima volta che si è vinto.

 

Angelo Barberini non era immune. Anzi. Fu molto creativo anche in questo.

Ai tempi della serie D di fine anni '80 aveva scoperto che portava bene toccare la gobba di un frate del convento dei Cappuccini.
Si partiva in processione, lui e altri dirigenti.
Una toccatina e via verso lo stadio.
Il problema era trovare ogni volta una scusa diversa per il contatto fisico.
Ecco allora che, mentre uno parlava con il religioso, un altro lo aggirava, cercando di sfiorargli la schiena. Un semplice "Come va, padre?" era idoneo per il contatto reputato un buon viatico per la partita.
Ma la classica domanda che accompagnava la pacca sulla spalla era: "Ma il dottor Storelli s'è visto alla messa di domenica?".
Il povero frate rimase anni e anni a chiedersi come mai quel gruppo di devoti era così interessato all'eventuale crisi mistica del medico.

Paolo Mancinelli, custode dello stadio Luzi per decenni e accompagnatore della squadra in tutte le trasferte della serie C, ci è stato d'aiuto in questa singolare ricerca, raccontandoci anche di strane preghiere sussurrate freneticamente sdraiato sul divanetto della sede societaria.
Guai a chi lo interrompeva in quel suo rito religioso e pagano.

La posizione in campo durante le partite era sacra. Rigorosamente dietro i cartelloni pubblicitari della porta a nord.
Un giorno si appoggiò allo specchietto dell'ambulanza. Il Gualdo segnò.
Quell'ambulanza fu il suo "posto in tribuna" per tante partite a venire.

Molti di voi avranno visto un video in cui il Pres si sofferma davanti ad una porta dello stadio Luzi.
Il classico sale? Ma che! Angelo andava oltre. Se qualcuno fosse passato lì vicino, avrebbe sentito un 'toc toc'. Era il suono di un sasso portato dal Brasile nascosto dentro la manica del suo cappotto. Veniva battuto contro i pali. Un rito 'internazionale', che durò fino alla perdita del sasso, per il quale Angelo si disperò.... fino alla scoperta del successivo rito.

Sì, perché ce ne sono tanti altri.

Pretendere lo stesso autista per il pullman.
Non ingaggiare calciatori provenienti da una retrocessione.
Il motivo? Portavano jella. Ovviamente. Provate a dimostrare il contrario!

Nulla in confronto all'ossessione suprema: i gatti neri.
Angelo ne era terrorizzato.
La leggenda narra che dopo la sconfitta di Pescara, nello spareggio con l'Avellino per salire in serie B, il Pres in sala stampa spiazzò tutti, anticipando le domande e vestendosi da profeta.
"Vedete – dichiarò candidamente – io sapevo già come sarebbe andata a finire dal momento in cui, lungo la strada per lo stadio, ci ha attraversato un gatto maone".

E un gatto nero era già stato inconsapevolmente protagonista di un altro spareggio storico, quello con L'Aquila per la promozione in C2.
Angelo fece fare marcia indietro al pullman davanti al quale l'ignaro micio si era piazzato.
In cerca di percorsi alternativi, il pesante mezzo si incastrò in una viuzza di Avezzano con somma gioia dell'autista.
Angelo quella sera si addormentò tra i clamori di una Gualdo che festeggiava la C2. Felice per una deviazione vincente, che una volta tanto non fu di un attaccante, ma di un pullman.

Per lo psicologo Ferruccio Antonelli "superstizione, amuleti e preghiere sono di fatto l'unico doping consentito".
Per Angelo era proprio come doparsi.
Se il rito era compiuto bene, la scarica di positività era inarrestabile.
Lui la trasmetteva negli spogliatoi e sappiamo tutti che nel calcio la positività o la negatività di chi entra in campo sono fondamentali.

Crederci o non crederci? Per gli scettici, ecco venire in aiuto un filosofo, Benedetto Croce, il quale, interrogato in materia, rispose con arguzia: "Non è vero, ma ci credo!".

E se pensiamo che anche i numeri avevano la loro importanza per Angelo.
Se pensiamo che il giorno 13 lui non faceva assoluta-mente nulla, convinto che portasse jella.
Se pensando a questo, notiamo che un destino beffardo ha deciso di fargli abbandonare la terra il 13 dicembre.
Se pensiamo a ciò, non possiamo che essere tutti Benedetto Croce.

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