Fabrizio Evangelisti, l'uomo di acciaio

Scritto da Super User. Postato in Persone

 
Embrun, Alpi Francesi, ore 6 di una fredda mattina di Ferragosto.  Insieme ad altri 1500 “matti” sono pronto a gettarmi in acqua con una temperatura esterna di 6 gradi e un buio pesto. Indossiamo tutti la muta e aspettiamo che venga dato il via a una delle gare più difficoltose di tutte le discipline sportive: l'Embrunman. 
 
So che mi attende una giornata devastante sotto il profilo fisico e mentale, ma allo stesso tempo esaltante. Una nuotata di 3,8 km., poi 186 km. in sella alla bici salendo verso il Colle dell'Izoard, una delle vette più famose del Tour de France, e, dopo una discesa “ardita”, una “passeggiata” di 42,2 km, la maratona. Il tutto senza un attimo di pausa, fino allo sfinimento.
Nuoto, ciclismo e corsa. Sarebbe il thriatlon classico. Sì, ma con la “leggera” differenza delle distanze da percorrere. Praticamente quattro volte in più. Per questo motivo la disciplina viene definita Ironman. Bisogna essere d'acciaio solo per arrivare al traguardo… 
L'Embrunman è anche la più dura gara al mondo. La finiscono in pochi e anche tra i più forti dell'ironman c'è un certo timore a disputarla. Siamo una trentina di italiani su 1.500 partecipanti. I migliori ci sono tutti. 
 
La mia personale follia è iniziata quattro anni fa, quando ero 90 e passa chili e non facevo più sport a livello agonistico. Da ragazzo avevo fatto anche sci di fondo, un paio di campionati nazionali e giocato a basket. Avevo voglia di ricominciare a muovermi un po'. Diciamo che ho ripreso a fare sport in maniera non proprio soft…
 
Mentre seguo i miei pensieri, ecco il via. Si parte. Le fredde acque del lago di Serre Poncon ci attendono. Nei primi dieci minuti di nuoto dovremmo teoricamente seguire la luce di una barca. In realtà non si vede nulla. Finché il cielo non schiarisce si va guidati dagli altri atleti in mezzo al gruppo. In pratica siamo una tonnara al buio.
Nelle prime bracciate vado al risparmio e non tiro eccessivamente: la gara è molto lunga e i 3,8 km. di nuoto non sono decisivi. Il risultato però è che già sono 15' sopra il mio tempo. Dopo un'ora e un quarto esco dall'acqua stanco. Questa frazione non finiva più. La rotta non si vedeva bene.
Fa molto freddo. Inforco la bici e inizia subito una bella salita. Per fare un confronto con le nostre montagne, la prima “pettata” è simile a quella di Cima Mutali di Fossato.
Nonostante siano le 7 di mattina c'è un sacco di gente lungo il percorso. Si continua e si fanno circa 50 km. di saliscendi senza salite importanti. Qui la gente è talmente tanta da sembrare di stare al Tour de France. Si spostano tutti all'ultimo secondo. Molto emozionante.
Poi ecco la lunga ascesa verso il mitico Colle dell'Izoard. Infinita, prima dolce e pedalabile, poi durissima. A tratti sembra la Marmolada, a tratti il Bondone. Non per nulla è divenuta una tappa leggendaria del Tour.
I chilometri che mi separano dalla vetta e la quota (2.400 metri) incutono un certo timore. Questa fase la faccio con un passo importante e recupero circa duecento posizioni. Si arriva alla Casse Deserte, così definita perchè la vegetazione finisce e ci sono solo rocce e pietre. Un paesaggio lunare. 
 
A 2.400 metri di altitudine manca l'ossigeno: non ci sono alberi e la salita è davvero impressionante.
Quello che lascia a bocca aperta sono le persone, tantissime, che trovi lungo la strada, sempre. Senza di loro sarebbe stata davvero molto dura.
Arrivo in vetta e vedo il cartello che indica i km. al termine della frazione. Solo a leggerlo vengono i brividi: ne mancano ancora cento! A questo punto tiro letteralmente il freno. Sto bene, ma continuando a questi ritmi rischierei il ritiro.
Oltre quanto mi resta da percorrere in bici, ci sono anche i 42 km. di maratona e la testa mi dice di gestire e di non azzardare. Solitamente faccio sempre l'errore di spingere troppo in bici, ma questa gara non perdona e preferisco non rischiare di restare senza “carburante”.
In cima all'Izoard ci sono ciclisti a terra e bici appoggiate e abbandonate. 
A me gira un po' la testa a causa dell'aria rarefatta e accuso anche un po' di nausea. Altri sono costretti al ritiro. Preferisco andarmene da lì prima possibile, mangiando in discesa.
 
Si prende il rifornimento e si va giù in picchiata dal versante più facile, quello che quest'anno ha percorso il Tour. Sul catrame ci sono ancora le scritte inneggianti a Nibali.
 
La discesa è molto tecnica e perdo diverse posizioni, ma anche in questo caso preferisco risparmiare qualche energia. Nei centokm. che devo ancora percorrere ci sono altri tremila metri di ascesa attiva con pendenze che arrivano al venti per cento.

La gara in bici inizia effettivamente dopo l'Izoard.
Nelle vallate c'è vento contrario e il regolamento vieta di mettersi in scia agli altri concorrenti. Praticamente non mi posso avvicinare a meno di dieci metri da chi mi precede. Non si superano i 30 km/h e non si riesce a fare il passo sui 40 in piana. Il vento è davvero forte.
C'è sempre moltissima gente a tifare. Al 182esimo km. ecco un'ultima salita abbastanza impegnativa. Per intenderci è simile alla strada che porta a Valsorda, ma con nelle gambe e nelle braccia già decine e decine di chilometri e ore di gara. Mentalmente è una mazzata, devo solo non pensarci e pedalare. 

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Conclusa questa seconda fase mi cambio velocemente e senza alcuna sosta inizio la maratona. Le gambe mutano modo di lavorare. Comincio a correre. Sto bene. Ho percorso oltre 190 km con 5.000 metri di ascesa attiva in 8 ore e 10.
Per una gara del genere servirebbe il doppio dell'allenamento che solitamente svolgo, ma gli impegni lavorativi non possono essere trascurati.
La maratona è un continuo saliscendi ed è davvero impegnativa. Asfalto, sassi, breccia e salite. In più discese dove occorre frenare.
Passiamo per il paese, c'è sempre la folla ad incitare. I primi 21 km vanno via bene.fabrizio evangelisti02

La crisi mi attende al 28esimo km. e perdo circa 30 minuti tra giramenti di testa e pensieri di abbandono. Fatico a proseguire e quasi cado a terra, rimproverandomi di non essermi allenato abbastanza. Penso agli amici che mi hanno affiancato nella preparazione, che mi hanno sostenuto, e per mezz’ora stramaledico la partecipazione a questa competizione. Sono quasi alla fine di una stupida gara per fissati e dopo tanti chilometri e tanta fatica sto per chiuderla qui.
Poi miracolosamente e anche grazie agli incitamenti del pubblico e di Sara, la mia ragazza che è lì, riesco a riprendermi
Durante la corsa anche gli altri atleti ti spingono, c'è molta solidarietà. Un signore mi urla di continuare, di non sentire il vento contro. Mi fa da lepre per una ventina di metri. E' un tedesco.
Non sento più niente, come se le gambe avessero capito che non possono più opporsi alla mia voglia di finire la gara.
Molta gente mi guarda stupita e a braccia aperte dò un “cinque” a tutti lungo gli ultimi due km., ricambiato. Il bello di questo sport sono anche questi momenti.
Riacquisto un ottimo passo, sotto i 5' al chilometro. Ne supero tanti, che strisciano verso l'arrivo.

Dopo 14 ore infernali taglio il traguardo di questa gara esagerata. Chiudo 558esimo su circa 1500, ma ho vinto. Sono tra i pochi al mondo ad averla conclusa. Anche stavolta circa 250 si sono ritirati. Per molti appassionati chi ha completato l'Embrunman è una specie di eroe.
Volevo stare intorno alle 13 ore, ma sono comunque estremamente felice.
Una gara così la finisci più con la testa che con il fisico. Se crolli mentalmente, le gambe si fermano e non vai avanti. Sei pieno di dolori e acciacchi e se non convinci il tuo corpo a fare un passo dopo l'altro non prosegui.
Una volta tagliato il traguardo il mio pensiero è corso a tutti i ragazzi di Gualdo e non solo che si sono allenati con me e che mi hanno dato una mano. A Valerio Scassellati, Marco Matarazzi, Luca Tantari, Matte Andreini (mio caro amico e avversario che è arrivato primo degli italiani e mi ha voluto a Embrun), Luis Moreno Narvaez (campione spagnolo e mio amico), Vincenzo Giancola, il negozio Best Bike di Edoardo Commodi che mi ha preparato bene la bici e tanti altri che mi hanno aiutato, compresa Sara Morroni che era lì a tifare per me e a preoccuparsi quando non mi vedeva arrivare. Infine a mio padre Fulberto per la preparazione atletica e i consigli tecnici. E sicuramente avrò dimenticato qualcuno.
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C'è stato tanto Gualdo nella grinta che mi ha spinto fino al traguardo in quei dannati ultimi chilometri.
Siamo davvero tignosi. Io ne sono la prova.

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