Anto'… c'è crisi
Stà la crisi.
Il ritornello ha oggettivamente scassato.
Però è vero.
E anche quassù, tra le montagne, all'ombra del Bondone, Trento city, si sente che c'è qualcosa che non va.
I dati sulla disoccupazione, sul calo del Pil, le imprese che chiudono, l'edilizia ferma e così via son diventati tristi refrain anche nella patria delle Dolomiti patrimonio dell'Unesco.
Ma se i numeri, i dati, sono concetti che possono sembrare estranei, lontani dal cittadino qualunque -a meno che, ovviamente, non ci si sbatta il muso in prima persona- ci sono due cose che, negli ultimi mesi, hanno dato il senso della difficoltà.
Qui dove una volta si parlava di isola felice.
E dove, comunque, si assorbe meglio la crisi rispetto alla maggior parte del territorio nazionale.
Due cose, dicevo.
Qualche mese fa la Whirlpool, storica fabbrica della zona industriale a nord di Trento, che dava lavoro a 1200 persone, ha deciso di delocalizzare.
Si chiude e si sposta tutto in Lombardia.
Inutile tenere due grandi stabilimenti a così poca distanza, ha pensato negli Stati Uniti chi gestisce l'ambaradàn, ne facciamo uno grandissimo e pace.
Come a Risiko.
Con conseguente e sacrosanta mobilitazione dei lavoratori, della politica e dell'opinione pubblica.
Una vicenda che ricorda da vicino quanto accade nelle fabbriche delle nostre zone, soprattutto le più grandi, anche senza voler far nomi.
Brutte storie, specchio di tempi difficili.
Ma a fianco di un dramma per così dire istituzionale, ne è andato in scena un altro, quassù.
Meno grave dal punto di vista delle ricadute sulla società -tanto che pare davvero brutto chiamarlo dramma, in effetti- ma altrettanto significativo.
A Trento c'è un'eccellenza sportiva.
Si chiama -come qualcuno dei lettori di questa sgangherata rubrica saprà, avendone il sottoscritto già parlato- Trentino Volley.
Quattro volte campione del mondo.
Tre volte campione d'Europa.
Due volte campione d'Italia, l'ultima lo scorso maggio in una finale-thrilling con Piacenza.
E proprio all'indomani di quello scudetto il primo allarme del presidente della società. Rivolto alle istituzioni, alla politica, ai tifosi, a tutti.
Mancano i soldi.
"Dateci una mano o qui si smobilita".
L'uscita del baffuto patron della squadra suonava più o meno così. Nessuno si è fatto avanti.
E, tempo un paio di mesi, ecco che i gioielli di famiglia, capitan Kaziyski, Osmany Juantorena, il mago Raphael e il colonnello Stoytchev, comandante di un'armata che tremare il mondo fa[ceva], fanno le valigie destinazione Turchia, Ankara.
Dove non ci sarà la cultura sportiva che c'è nel belpaese ma dove ci sono soldi, soldoni, pesanti.La formula è quella del prestito. La volontà è di riaverli il prossimo anno.
Le speranze oggettivamente poche.
Perché, evidentemente, soldi non ce ne sono.
Decisione dolorosa, plaudita però dalla stampa [dalla Stampa, in particolare] nazionale.
Proprio il quotidiano torinese aveva infatti a suo tempo dedicato una pagina alla società che "coscienziosamente riduce roster e ambizioni pur di non fare il passo più lungo della gamba".
Si ma, dunque, quest'anno? Si fa quel che si può.
A fianco all'opposto Sokolov, classe '89, uno dei migliori al mondo rientrato dal prestito a Cuneo e trattenuto con uno sforzo notevole a Trento, qualche solida certezza e un piatto ricco di giovani magari poco affermati ma di sicuro affamati.
Se si escludono il neocapitano Birarelli e il regista dello scudetto Sintini, l'età media dell'ipotetico sestetto titolare è di 23 anni.
Mica male.
Ambizioni per forza di cose ridotte, tanti mugugni in città -la squadra fa una media di 3-4mila presenze ogni domenica al Palatrento, impianto che più di quattromila persone per inciso non ne contiene- soprattutto nei giorni delle Grandi e Dolorose cessioni.
Ma ora pare che la campagna abbonamenti -compatibilmente con la ridotta capacità di spesa del tifoso medio- proceda su buoni numeri.
E attorno al progetto giovane sembra possa nascere un rinnovato entusiasmo. Diverso rispetto a quello delle Grandi Vittorie ma comunque significativo.
Staremo a vedere, i primi test -sportivi- arriveranno a breve, a partire dal mondiale per Club in terra brasileira, il prossimo ottobre.
Ma quel che ci preme sottolineare, in questa fase, è l'aspetto sociale del periodo storico che stiamo vivendo.
A quanto pare -dicono- dovremo accontentarci di uno standard di vita diverso, rispetto a qualche anno fa.
Chissà che -la buttiamo là- lo sport non possa educare a ricostruirsi una coscienza diversa, un entusiasmo differente, nuovo, più sportivo, per così dire. Una ripartenza può -lo dice il nome stesso- essere appunto anche un punto di partenza, non il fondo di un baratro. Anche se stà la crisi.
E in bocca al lupo -anche se non c'entra niente- alla nostra neonata società calcistica. Che la ripartenza -aridaje- sia vera. E ci faccia sognare sul serio. Anche [da] quassù.